ARTICOLI E NOTIZIE SU SPORT ARTE E SPETTACOLO

martedì 9 giugno 2009

Kaka': vado al Real, per il bene di tutti


2009-06-09 16:17
Kaka': vado al Real, per il bene di tutti
ROMA - Ha scelto di parlare solo dopo l'annuncio ufficiale. E' stato corretto fino all'ultimo, nei confronti dei suoi ex tifosi, Ricardo Kakà, da oggi ex calciatore del Milan. Fra le ragioni del suo trasferimento al Real Madrid - per una cifra intorno ai 65 milioni di euro - la crisi economica che ha colpito le società di calcio, quindi anche il Milan: è stato lo stesso giocatore brasiliano a sottolinearlo, durante la conferenza stampa che si è svolta a Recife, quartier generale della 'Selecao', poco dopo l'annuncio della sua firma con la squadra spagnola.

"La mia intenzione era quella di continuare nel Milan - ha spiegato Kakà - ma la crisi economica ha colpito molto le società di calcio, principalmente quelle come il Milan. Ho quindi parlato con il club rossonero e siamo giunti alla conclusione che la cosa migliore per tutti era il mio trasferimento". "I miei vincoli professionali con il Milan sono finiti, ma il vincolo affettivo non finirà mai - ha tenuto a precisare il fantasista brasiliano -. Il Milan non aveva mai vissuto una crisi come quella che sta attraversando adesso, per la prima volta la società ha pensato di vendere un suo giocatore". Il Milan ha quindi "dovuto fare questo sacrificio, credo che il club non abbia alcuna colpa. Comprendo perfettamente bene la posizione del Milan", ha proseguito il giocatore, ricordando "di aver sempre detto che, in caso di addio al Milan, sarei andato al Real". "Il mio trasferimento non è stata una questione monetaria, perché ho ricevuto offerte superiori", ha concluso Kakà, riferendosi alle 'avances' invernali del Manchester City. Il brasiliano ha infine ricordato che, nella scelta del Real, ha pesato il parere di David Beckham: "E' stato lui a dirmi che il rapporto che il club ha con il giocatore e l'organizzazione della società sono eccellenti".

Kakà ha aperto una porta sul proprio futuro, e non solo. "Insieme a giocatori storici come Raul e Casillas - ha spiegato - cercheremo di fare di nuovo grande il Real, sia in Spagna sia in Europa". La società madrilena "ha un buon progetto sportivo", ha sottolineato Kakà, precisando di ritenere che il suo presidente Florentino Perez, "farà una squadra molto competitiva". "Ora ho 27 anni, da giocatore ho vinto tutto quello che potevo vincere. Sto andando - ha proseguito - in un posto dove arrivo come uno dei migliori del mondo, ma dove ancora non ho conquistato niente: questa è la mia grande motivazione". Il fantasista ha inoltre precisato che, nella squadra delle 'merengue', intende giocare "con la maglia numero 6, non con la 5, che era quella usata da Zidane: non mi piacerebbe usare quella maglia, proprio per la sua 'storia' con Zidane". Secondo Kakà, ormai al Real Madrid, il suo erede tra i rossoneri sarà Alexandre Pato: "Ha un futuro brillante, sia al Milan sia nella Selecao brasiliana", ha detto. "Il grande nome del Milan per il presente e il futuro è Pato. Questo è stato l'anno della sua conferma, ha disputato una stagione eccellente", ha insistito.

http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_987857370.html

Sempre più misteri sulla morte di David Carradine

Sempre più misteri sulla morte di David Carradine
Lunedí 08.06.2009 11:05
La famiglia di David Carradine ha chiesto l'aiuto dell'FBI per scoprire la verità riguardo alle cause della morte dell'attore. Giovedì 4 giugno, il cadavere di Carradine è stato trovato in un albergo di Bangkok (Thailandia), con una corda legata al collo ed ai genitali. Il divo, quindi, sarebbe morto a causa di un gioco di autoerotismo finito male. Alcuni media, però, hanno scritto che David aveva le mani legate dietro la schiena e questo farebbe pensare ad un atto sessuale compiuto con una partner. Non è stato possibile, finora, accertare la verità. L'avvocato Mark Geragos, assunto da Keith Carradine (fratello della vittima) ha spiegato che la famiglia non possiede informazioni diverse da quelle pubblicate e per questo si è rivolta al Federal Bureau of Investigation.



http://www.affaritaliani.it/entertainment/david_carradine_morte_avvocato080609.html


08-06-09
CINEMA: MORTE CARRADINE, UCCISO DA UNA SETTA SEGRETA? ANCHE FBI INDAGA

(ASCA) - Roma, 8 giu - David Carradine potrebbe essere stato ucciso da una setta di fanatici del kung-fu. A suggerirlo sono i familiari del 73enne attore americano, ritrovato morto la scorsa settimana in un albergo di Bangkok con una corda legata attorno al collo e ai genitali. La polizia thailandese e' sempre piu' convinta che Carradina sia rimasto vittima di un gioco sessuale, ma l'avvocato della famiglia, Mark Geragos, parlando al Larry King Live show e al Sun, ha rivelato che ''David era molto interessato nell'investigare e scoprire le societa' segrete e questo era collegato al suo interesse per le arti marziali. La polizia dovrebbe indagare in primo luogo in questa direzione''.

Accusato di aver rubato il posto a Bruce Lee per il protagonista della serie di telefilm ''Kung Fu'' che contribui' al suo successo come attore, del celebre attore cino-americano ora condivide anche le voci sulla morte. Anche per Bruce Lee, infatti, fu spesso ventilata la teoria che fosse stato assassinato dalle Triadi cinesi quando mori' in circostanze poco chiare nel 1973.

La famiglia di Carradine ha invocato l'intervento dell'Fbi e le autorita' thailandesi hanno gia' fatto sapere che la polizia federale americana potra' partecipare all'inchiesta in qualita' di osservatore. ''L'Fbi potra' osservare o chiedere alla polizia thai di investigare in qualche precisa direzione, ma non potra' condurre indagini in proprio, ne' raccogliere prove'', ha detto il procuratore generale, Sirasak Tiypan.

uda/mar/lv



http://www.asca.it/news-CINEMA__MORTE_CARRADINE__UCCISO_DA_UNA_SETTA_SEGRETA__ANCHE_FBI_INDAGA-836741-ORA-.html

giovedì 4 giugno 2009

ADDIO A DAVID CARRADINE


Addio a David Carradine
Forse è morto impiccato

Secondo quanto riportato da alcuni siti americani, che riprendono a loro volta il sito del quotidiano thailandese The Nation, David Carradine sarebbe stato trovato impiccato nella suite del Park Nai Lert Hotel di Bangkok, dove viveva da quando stava girando il suo ultimo film

L'attore si sarebbe impiccato ad un armadio utilizzando la corda di una tenda. A trovarlo sarebbe stata una cameriera dell'albergo, che ha dato immediatamente l'allarme. Il possibile suicidio sarebbe stato confermato nel suo rapporto anche dalla polizia thailandese, secondo la quale l'attore quando è stato trovato era morto da almeno 12 ore.

Giovedì 04 giugno 2009 17.15



http://unionesarda.ilsole24ore.com/Articoli/Articolo/127696

Kakà e Real affare fatto


Kakà e Real affare fatto
Media spagnoli sicuri
Il giorno dopo il blitz madrileno di Galliani, i quotidiani sportivi Marca e As danno l'affare come ormai concluso. Sulla stessa linea anche i giornali politici El Mundo ed El pais

MADRID, 3 giugno 2009 - Il day after del blitz rossonero a Madrid è pieno di speranze, per non dire di certezze. A due giorni dal suo insediamento Florentino Perez sembra aver fatto già più di quanto fece Ramon Calderon in due anni e mezzo. Mantenere le promesse, innanzitutto. Cosa che acquista ancor più valore quando la promessa si chiama Kakà che è stato il sogno mai realizzato del precedente presidente. Pur con una spaccatura tra gruppi editoriali da queste parti sono praticamente certi che il brasiliano arriverà, con ogni probabilità la prossima settimana. La tardiva azione di disturbo del Chelsea della nuova coppia Ancelotti-Abramovich da l'impressione di venir registrata più per dovere di cronaca che per reale convinzione.


Le prime pgine di Marca e As di oggi
grande attesa — Quanto detto qui sopra viene condensato nel titolo che apre Marca: "Kakà: Florentino manterrà la promessa di Calderon". E poi: "Ieri a Madrid Galliani ha chiarito con Florentino gli ultimi dettagli di un accordo chiuso da un mese e mezzo. L'annuncio sarà fatto la prossima settimana. Nella notte il Chelsea ha fatto un tentativo disperato di far saltare l'accordo offrendo al Milan fino a 10 milioni in più dei 63 che pagheranno i 'merengues'". Il titolo a pagina 2 è altrettanto chiaro: "Galliani è venuto, ha visto e ha venduto". Per dare un'idea dell'atmosfera che si respira attorno al primo affare della nuova era 'Galactica' basti dire che ieri la notizia su Marca.com ha ricevuto 1700 commenti in due ore.


Kakà si allena a Teresopolis nel ritiro della Nazionale. Reuters
dubbi fugati — Su As preferiscono aprire con il dibattito sull'attaccante da comprare, uno tra Forlan e Villa e in prima sembrano dare una speranza al Chelsea. "Kakà: Galliani a Madrid però si sente il peso della pressione di Abramovich" dice l'altro quotidiano sportivo della capitale. Nella cronaca all'interno i dubbi vengono fugati: "L'acquisto non è stato chiuso, però tutte le parti in causa lo danno per fatto".

i politici — Simile la divisione sui quotidiani politici. El Mundo, stesso gruppo di Marca, titola "Florentino si che compra Kakà". "In attesa dell'annuncio ufficiale il presidente chiude l'acquisto del 'crack' brasiliano per 5 stagioni. L'operazione costerà al club 'blanco' 65 milioni di euro". El Pais, 'fratello' di As (e della Cadena Ser, la prima a registrare l'interferenza anglorussa), racconta il "Primo stop di Abramovich a Florentino". "Il proprietario del Chelsea si frappone tra Milan e Madrid, che si erano accordati per la cessione di Kakà per 65 milioni di euro. Il padre del giocatore incasserà 10 milioni di euro di commissione". Nell'articolo però il tono tende a rassicurare il madridista. Alla fine vincerà Florentino. In attesa che si arrivi alla firma, avanti il prossimo: Perez vuole chiudere i suoi acquisti in giugno, e i nomi sono tanti e importanti.

Filippo Maria Ricci

http://www.gazzetta.it/Calcio/Calciomercato/03-06-2009/kaka-real-affare-fatto-50483747247.shtml

martedì 2 giugno 2009

Osel Hita Torres, il giovane spagnolo che non vuole più essere la reincarnazione di un maestro Lama


Buddismo/ Lama: Osel Hita Torres, il giovane spagnolo che non vuole più essere la reincarnazione di un maestro Lama
di Riccardo Panzetta*
Ha detto basta. Ed è andato via. Niente più preghiere o meditazione. Basta anche a quella rigida formazione dottrinaria cui i monaci buddisti lo hanno avviato sin da quando aveva poco più di un anno. Osel Hita Torres, 24 anni, non vuole più essere (o credere di essere) la reincarnazione di un maestro Lama morto venticinque anni fa. Ha deciso di lasciarsi tutto alle spalle, il giovane ragazzo spagnolo, e di dedicarsi al cinema, frequentando un corso triennale di cinematografia all’Università di Madrid.

La sua è una fuga dalla vocazione, impostagli quando aveva appena 14 mesi. «Mi hanno tolto alla mia famiglia - ha dichiarato - mi hanno gettato in un mondo medievale dove ho sofferto come un cane».

Tutto inizia con la morte del maestro Lama Yeshe. E’ il 1984 e il guru tibetano, stravagante e molto amato, lascia un vuoto spirituale nei suoi discepoli. Uno di essi, Lama Zopa, si mette subito alla ricerca della reincarnazione del suo adorato maestro. Una serie di visioni, sogni e premonizioni conducono Lama Zopa in un centro buddista poco lontano da Grenada, dove incontra i genitori del piccolo Osel, anch’essi allievi del defunto Yeshe.

Il bimbo viene inserito in una lista di dieci potenziali “reincarnazioni” e l’elenco viene spedito al Dalai Lama. Dopo mesi di “verifiche” e studi, viene scelto Osel che parte per l’India per ricevere la sua educazione monastica.

I genitori, nel frattempo, divorziano e la madre si mostra irrequieta e insofferente verso l’investitura mistica di suo figlio. Nel 1995 rilascia un’infuocata intervista al New York Times in cui sostiene che il piccolo Lama ha ancora bisogno delle cure materne e si scaglia contro i monaci accusati di viziarlo e di trasformarlo in un piccolo tiranno. Inizia una querelle che si conclude con una concessione: la madre potrà vedere più spesso suo figlio, insegnargli lo spagnolo a patto di mantenere un comportamento più equilibrato.

Il giovane Lama spagnolo è diviso tra due mondi quello familiare-affettivo e quello monastico-spirituale. Alla fine il giocattolo si rompe e Osel, stufo di battere una strada che non sentiva più sua, molla la tonaca e torna a casa. Per assecondare il karma che sente più suo: fare il regista e girare un film. Magari il seguito del “Piccolo Buddha”.

*Scuola superiore Giornalismo Luiss





http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-mondo/buddismo-lama-osel-hita-torres-il-giovane-spagnolo-che-non-vuole-piu-essere-la-reincarnazione-di-un-maestro-lama-33819/

***************************************

Il «Piccolo Budda» si dà al cinema
Osel Hita, 22 anni, reincarnazione del lama Thubten, si è stancato del monastero in Tibet e si è iscritto a una scuola canadese di regia



Osel Hita (da Fpmt.org)
MADRID – Sempre di luce si tratta, in fondo: ma invece di inseguire l’illuminazione spirituale, il «piccolo Budda» spagnolo ha preferito seguire le orme dei fratelli Lumière. E darsi al cinema. Osel Hita, la cui vicenda ispirò il regista Bernardo Bertolucci, ora ha 22 anni e, quando nacque, con un parto quasi senza dolore, in un ospedale di Granada, il 12 febbraio 1985, era un bimbo stranamente sereno e placido: non piangeva mai, era radioso. Perciò fu chiamato «Osel», luce chiara in tibetano, e fu riconosciuto dal Dalai Lama come la reincarnazione del lama Thubten Yeshe, morto undici mesi prima in California.
I genitori di Osel, ora divorziati, appartengono alla comunità buddista locale e a metà degli anni Ottanta decisero con entusiasmo di assecondare il disegno divino, avviando il piccolo al suo destino di futuro leader del buddismo tibetano in Occidente. Osel, a 14 mesi, era diventato il primo bambino spagnolo riconosciuto come reincarnazione di un lama, ma questo comportava per lui la vita monacale, una dura disciplina, 16 ore di studio al giorno e nessuno svago tipicamente infantile. Doveva abbandonare la famiglia e crescere tra preghiere e meditazione. Già a 8 anni, nel 1993, Osel scrisse una lettera dal monastero tibetano di Sera a sua madre, chiedendole di venire a riprenderlo.
Maria Torres ne discusse con il marito Paco, che decise di partire con un altro dei suoi figli, Kunkyen, anche lui monaco consacrato, per andare a tenere un po’ di compagnia al suo bimbo lama in crisi. Ma quella vita proprio non faceva per Osel. Che, a 18 anni, aveva voglia di una strada diversa, meno elevata magari, ma un po’ più «normale», e possibilmente percorrerla in moto, come tutti i suoi coetanei. Contro ogni aspettativa e ogni segnale celeste, Osel voleva seguire la sua grande, terrena passione: il cinema. Se qualcuno ha cercato di dissuaderlo, lo sa soltanto lui. E in ogni caso non c’è riuscito: dopo aver lasciato il monastero, Osel ha vissuto un po’ a Ibiza con sua madre, poi ha viaggiato per gli Stati Uniti e l’Europa e ora si è iscritto a una scuola di regia cinematografica in Canada. La decisione di lasciarsi alle spalle la facoltà di filosofia buddista metafisica e dialettica del Tibet non è definitiva né irrevocabile: in qualunque momento, Osel può tornare alla vita monastica e per i tibetani resterà una guida spirituale. Anche se Hollywood dovesse conquistarlo per sempre.
Elisabetta Rosaspina
20 agosto 2007

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2007/08_Agosto/20/piccolo_budda_cinema.shtml

lunedì 1 giugno 2009

Titanic, morta l'ultima superstite


Titanic, morta l'ultima superstite
Londra, Millvina Dean aveva 97 anni

E' morta in Gran Bretagna all'età di 97 anni Millvina Dean, l'ultima superstite del naufragio del Titanic. Lo ha riferito la BBC citando alcuni amici. L'anziana viveva in una casa di riposo a Southampton, nel Sud dell'Inghilterra meridionale, città portuale da cui era partito il transatlantico. All'epoca della tragedia la signora Dean aveva solo due mesi. Negli ultimi tempi aveva venduto alcuni cimeli del Titanic per pagarsi la retta.



Leonardo di Caprio, Kate Winstel e James Cameron, protagonisti e regista del film sul naufragio, alcune settimane fa avevano lanciato un appello in suo favore, contribuendo anche a un fondo da 30 mila dollari.

Millvina Dean è morta nella città portuale dalla quale era partito il viaggio del transatlantico affondato nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912 dopo avere urtato contro un iceberg.

La signora Dean aveva solo nove settimane quando si era imbarcata a bordo del transatlantico con i genitori. Il padre Bertram fu una delle 1.517 vittime della tragedia, la neonata fu messa in una sacca di tela e tratta in salvo assieme alla mamma e alla sorella che tornarono a Southampotn dove Millvina ha trascorso quasi tutta la sua vita.

Recentemente era tornata agli onori delle cronache perché rischiava di essere allontanata dall'ospizio non essendo piu' in grado di far fronte alla retta mensile di 3.000 sterline. Come ultima risorsa vendette all'asta alcuni degli ultimi ricordi del suo breve viaggio sul Titanic, tra cui il sacco in cui fu avvolta che è stato ceduto ad aprile a 1.500 sterline.

Nonostante non avesse ricordi del disastro, Millvina ha sempre detto il naufragio ha cambiato la sua vita perché sarebbe cresciuta negli Stati Uniti invece di far ritorno in Inghilterra a Southampton. Un'altra bambina a bordo, Barbara Joyce West, che aveva 11 mesi, sopravvisse al naufragio. La signora è morta nell'ottobre 2007 lasciando Millvina come ultima superstite del Titanic.

http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo451215.shtml

giovedì 28 maggio 2009

MEL GIBSON-MA QUALE CATTOLICO TRADIZIONALISTA E' SOLO UN PAGLIACCIO IPOCRITA E PECCATORE !


MEL GIBSON-MA QUALE CATTOLICO TRADIZIONALISTA E' SOLO UN PAGLIACCIO IPOCRITA E PECCATORE !
*********************************************************************




26/5/2009


Mel Gibson: otto lo chiamano papà
L'attore conferma di aspettare un figlio da Oksana Grigorieva
Mel Gibson ha confermato: la fidanzata Oksana Grigorieva è incinta. L'attore lo ha rivelato durante lo show di Jay Leno ed ha anche parlato della fine del suo matrimonio, dopo 28 anni di unione, con la moglie Robyn.

"Io e mia moglie - ha spiegato l'attore - non stiamo più insieme da tre anni. Sono cose che succedono. E' spiacevole, è triste, ma lei sa quanto la stimo e abbiamo dei figli che ci tengono uniti. Siamo rimasti amici".
Alla domanda sulle voci della gravidanza di Oksana, Gibson ha risposto: "E' vero. Avremo un figlio". Ironicamente Leno ha fatto battute sul numero degli eredi di Gibson, sette per la precisione e quest'ultimo ha risposto: "Beh, in realtà è l'ottavo. I sono 'Octo-Mel'".
Per quanto riguarda invece il sesso del bebè in arrivo, la star di "Arma Letale" ha dichiarato che sicuramente sarà un essere umano...

Otto figli e una nuova storia d'amore. Tanti auguri Mel.

Foto:Tammie Arroyo003/Kikapress.com©Gossip.it



http://www.gossipnews.it/news/mel_gibson_otto_lo_chiamano_papa_news.html?ID=1243313652

**********************


Mel Gibson conferma: la mia nuova compagna è incinta
La musicista russa 39enne frequenterebbe l'attore da 3 anni
Fonte: © APCOM.net - Pubblicata il 26/05/2009



LOS ANGELES - Ora che le procedure per il divorzio sono state avviate, tanto vale non nascondere più l'evidenza. L'attore australiano Mel Gibson ha confermato che la nuova compagna, la poetessa e musicista russa Oksana Grigorieva, è incinta. Sono passate appena sei settimane da quando la moglie, l'ex odontotecnica Robyn Gibson, ha chiesto di divorziare dall'attore premio Oscar di Braveheart e marito da quasi tre decenni.



Mel Gibson conferma: la mia nuova compagna è incinta

L'agente di Gibson, Alan Nierob, ha precisato che la star ha rivelato che la nuova fiamma 39enne, che frequenterebbe da circa tre anni, è in stato interessante durante la registrazione ieri sera del talk show di Jay Leno «Tonight Show». L'emittente Nbc, che trasmette il programma, non ha rilasciato commenti.

Il 13 aprile scorso, la moglie ha avviato le procedure di divorzio alla corte superiore di Los Angeles citando «differenze inconciliabili» con Gibson, mettendo fine al matrimonio di 28 anni e sette figli. La coppia, tuttavia, vivrebbe separata da tre anni. Non è il primo figlio neanche per la Grigorieva, ex compagna dell'attore britannico Timothy Dalton, dal quale ha avuto un figlio che oggi ha undici anni.

Il 53enne regista della Passione di Cristo si prepara così ad affrontare un divorzio da 500 milioni di dollari (378 milioni di euro). La quasi ex moglie ha infatti chiesto la metà della fortuna stimata di Gibson (900 milioni di dollari, più o meno 682 milioni di euro).

martedì 26 maggio 2009

http://www.diariodelweb.it/Articolo/Cultura/?d=20090526&id=85642

sabato 23 maggio 2009

IL NUOVO ROMANZO DI CAMMILLERI CHE PARLA DEI CRISTIANI GIAPPONESI

il Giornale.it
n. 123 del 2009-05-22 pagina 0

La croce e la Katana. Quando i cristiani del Sol levante andarono alla guerra
di Matteo Sacchi

Nel nuovo romanzo storico di Rino Cammilleri
l'epopea e il martirio dei Samurai
che non vollero abbandonare la religione
giunta da Occidente
Matteo Sacchi
Anno del Signore 1638, anno sedicesimo dello shogunato di Tokugawa Iemitsu. Sul castello di Hara, un vecchio maniero diroccato nel sud del Giappone, sventolano strane bandiere. Sono bianche con disegnata sopra la croce, oppure la Vergine Maria. All'interno delle mura ci sono cinquantamila tra contadini, mercanti, ronin (samurai senza padrone), donne e bambini. All'esterno è schierata un'armata enorme. Più di centomila uomini accorsi sotto il comando dei più potenti daimyo, i signori feudali fedeli al governo dello Shogun. Sono lì per fronteggiare una rivolta che nessuno sino a qualche mese prima avrebbe ritenuto possibile. Nessuno avrebbe mai pensato che i molti contadini e i pochi samurai convertiti al cristianesimo avrebbero osato ribellarsi.
In giappone le guerre private e i conflitti tra clan erano all'ordine del giorno. Ma una rivolta in nome della libertà religiosa e dell'uguaglianza degli uomini davanti a Dio era qualcosa di diverso. Qualcosa che rischiava di turbare gli equilibri dell'intero arcipelago, le radici culturali di una civiltà. Da quando infatti i missionari portoghesi erano giunti, nel 1549, molti giapponesi si erano convertiti al cattolicesimo. Soprattutto a Nagasaki, il più importante porto aperto al commercio con i gaijin (gli stranieri). E la nuova religione, sia per il suo essere un possibile ponte per le potenze straniere, sia per i suoi connotati egalitari e la sua presa tra gli strati bassi della società, era stata subito percepita come un pericolo dal clan dominante: i Tokugawa.
Eppure, nonostante il divieto di professarla emanato nel 1614 e le persecuzioni, i cattolici stavano rialzando la testa. Anzi, si erano organizzati militarmente per resistere allo sterminio. Ecco perché l'assedio che durò mesi, l'assalto ai convertiti che rifiutano di abiurare il loro credo, è stato uno dei momenti più violenti e decisivi della storia del Giappone, anzi dell'Asia intera. Gli spagnoli ebbero paura di intervenire a favore dei cattolici (dalle Filippine) e gli olandesi protestanti appoggiarono con un cannoneggiamento marittimo l'azione del Bakufu (il governo centrale). La vicenda che finì con un immane massacro, è molto nota in Giappone e ben poco in Occidente. Ora Rino Cammilleri la racconta nel romanzo storico Il crocefisso del samurai (Rizzoli, pagg. 274, euro 18,50). La ricostruzione si muove agilmente tra i due fronti dello scontro, dà conto delle ragioni degli uni e degli altri, ridà vita a personaggi storici come lo shogun Iemitsu o Miyamoto Musashi (mitico spadaccino errante). Ne inventa di fantasia come il giovane cristiano Kato e la sua promessa sposa Yumiko (quasi dei Renzo e Lucia con gli occhi a mandorla) che rendono la storia emotivamente avvincente.
Ovviamente il suo sguardo indugia soprattutto sul campo dei ribelli, destinati alla sconfitta ma determinati sino all'ultimo a combattere per Iesu Kirisuto (Gesù Cristo), per quella religione nuova che dava speranza ai contadini e agli umili. Narrando la loro sconfitta, tra combattimenti, duelli a colpi di katana e atti di eroismo, non manca mai di coglierne il lato tragico (la persecuzione secolare verso i cristiani durò sino al 1889). Ma anche il senso di speranza che i «cristiani segreti» non abbandonarono mai, sino al ritorno degli europei.


--------------------------------------------------------------------------------

© SOCIETÀ EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=352620

CANNES: IL FILM DI ELIA SULEIMAN

il Giornale.it
n. 124 del 2009-05-23 pagina 32

Nel bell’affresco israeliano di Suleiman il patriottismo si nutre nel silenzio
di Redazione

Chi ha seguito il Festival, che oggi finisce le proiezioni, ricorderà quattro o cinque film. Fra questi c’è Il tempo che resta di Elia Suleiman, storia di famiglia e solidarietà, ma soprattutto storia malinconica e buffa, di patria oppressa e patriottismo sommesso.
Cristiano-palestinese, Suleiman aveva già proposto a Cannes sette anni fa Intervento divino, sul contrastato amore fra giovani arabi d’Israele e dei Territori occupati. Il tempo che resta è invece l’evocazione di sessant’anni di Israele, visti non nell’ottica delle celebrazioni occidentali dell’anno scorso, ma in quella degli arabi cristiani e musulmani di Nazaret, diventati dal 1948 cittadini israeliani a sovranità limitata. Caduto il Muro di Berlino, è sorto il Muro d’Israele, ma anche per chi l’ha costruito sarà duro bollare Suleiman come «terrorista»: il più esplicito atto di resistenza, nel suo film, è afferrare silenziosamente - il silenzio, ecco la chiave del film - un’asta, prendere la rincorsa e saltare il Muro!
Ma Suleiman non cela mai la realtà dietro la poesia: si vedono anche la guerra del 1948 e l’Intifada del 1989-90, perché il futuro padre (Saleh Bakri) di Elia Suleiman aveva adattato armi inglesi a munizioni tedesche nel 1948. Lui è il protagonista della prima parte del film. Anche se aveva dovuto arrendersi, aveva continuato a essere sorvegliato: infatti ogni tanto bruciava una bandiere israeliana... Quando il piccolo Elia (Zuhair Abu Hanna) va a scuola, a Nazaret, ha le sue peripezie, perché dice agli altri bambini che «gli americani sono colonialisti». E il maestro insiste: «Chi ti insegna queste cose?».
Già, chi? Un padre che invecchiava senza rassegnarsi, educando il figlio, che a sua volta è invecchiato senza rassegnarsi. Con qualche ragione, dicono i rapporti di forza demografici. Davanti alle nascite tre volte più importanti degli arabi rispetto agli ebrei israeliani, il destino di Israele rimanda a quello dell’Algeria francese e del Sud Africa bianco.
Poi c’è la parte familiare. Borghesi, i Suleiman sono una famiglia con vicini molto peculiari, tutti più o meno condizionati dall’occupazione. Infatti i palestinesi non sono tutti guerri(gli)eri e c’è chi s’è adattato al dominio ebraico, così come i genitori e nonni s’erano adeguati a quello ottomano. C’è per esempio chi denuncia il cugino (Suleiman padre, cioè) all’Haganah, poi chi fa cantare ai bambini arabi le canzoni patriottiche israeliane, chi entra nella polizia israeliana...
Suleiman non condanna i collaborazionisti e nemmeno gli occupanti, non ha il gelido rigore giacobino di Vercors nel suo romanzo sull’occupazione tedesca, Il silenzio del mare, poi portato sullo schermo da Jean-Pierre Melville. Gli ebrei di Suleiman sono invasori, non mostri. Il tempo che resta non è manicheo. Al nemico qui si spara, da parte araba, per aver migliori posizioni dalle quali trattare quando non si sparerà più. Ma poi magari si perde e ci si trova alla mercé dell’altro. Probabilmente questa concezione realistica e non ideologica della guerra valeva anche per certi ebrei del 1948. Ci sarebbe voluta la guerra del 1967 perché Israele negasse la qualifica di nemico al medesimo, per ridurlo a «terrorista». Ma come fare la pace con qualcuno di cui si nega la parità politica? La Francia, che ha tuttora ambizioni sul Libano e dintorni, ospita a Cannes il film di Suleiman anche perché le permette di sostenere una posizione intermedia nel conflitto mediorientale. I giornalisti hanno ampiamente applaudito il film di Suleiman per la gioia sua, ma anche per quella di Nicolas Sarkozy.


--------------------------------------------------------------------------------

© SOCIETÀ EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=353257

CANNES: IL FILM SCANDALO ISRAELIANO SULL'OMOSESSUALITA'

20/05/2009 - 18.01
FESTIVAL DI CANNES: ARRIVA LO SCANDALOSO FILM SULL'OMOSESSUALITA' 'EYES WIDE OPEN'





(IRIS) - ROMA, 20 MAG - A coronamento di un'edizione del Festival in cui l'amore omosessuale ha avuto un posto d'onore, arriva nella sezione Un Certain Regard, il film che, pur con una trattazione delicata e sofferta rappresenta l'autentico scandalo di quest'anno. Si intitola 'Eyes Wide Open', lo ha diretto l'israeliano Haim Tabakman ed è stato realizzato grazie ad una coproduzione con la Francia e la Germania poichè in patria appariva impossibile trovare tutti i capitali necessari.

I protagonisti sono due uomini che appartengono alla comunità ultra ortodossa di Tel Aviv, sono profondamente rispettosi delle leggi religiose e della morale ebraica ma non vogliono uccidere per questo la sincera passione che li lega. Aaron è un rispettato commerciante, sposato con Rivka e bravo padre di quattro bambini. Ma quando un giorno incontra il giovane studente Ezri non puo' far tacere il suo cuore. Il senso di colpa, il dolore per il tradimento della moglie e soprattutto la crescente pressione della comunità a cui appartiene, costringono Aaron alla scelta piu' drammatica. Opera prima di un regista che maneggia la materia con grande padronanza, ex allievo della Cinefondation di Cannes, il neoregista Haim Tabakman rende merito alla sceneggiatura originale di Merav Doster che ha ripreso dopo sette anni contro il parere di tutti.

''Il problema con lo scandalo dell'omosessualità tra i religiosi ebrei - dice il regista - è che l'omosessualità per il Talmud non è necessariamente un peccato, semplicemente non esiste, è una malattia che si può contrastare e vincere. Quando si è religiosi nel profondo dell'animo come i miei due personaggi si hanno solo due possibilità, combattere quella che i saggi chiamano una pulsione nefasta o vivere il proprio amore finendo nell'isolamento e nel disprezzo di amici e parenti''. Per capire quanto il film possa sconvolgere il suo pubblico naturale, in Israele, basterà dire che la contrarietà della comunità ortodossa ha costretto i produttori a non girare il film a Gerusalemme per l'eccesso di pressioni negative e che il protagonista Ran Danker (una star musicale) ha rischiato tutta la sua popolaritaà rompendo un autentico tabù apparentemente insuperabile. ''Sono molto grato a Ran - dice il regista - così come a uno degli attori che amo di più nel mio paese, Zohar Strauss, perchè si sono fatti carico dei loro personaggi fino a viverne tutto il dramma interiore. Spero che Cannes li ricompensi del rischio corso poichè ad oggi non sappiamo ancora se e come sarà possibile mostrare questo film in patria''.



MaVi

http://www.irispress.it/Iris/page.asp?VisImg=S&Art=38272&Cat=1&I=immagini/Spettacolo/62%20Festival%20d%20Cannes.jpg&IdTipo=0&TitoloBlocco=MusiCinemArte&Codi_Cate_Arti=7

TROVATA IMPICCATA L'ATTRICE LUCY GORDON







il Giornale.it
n. 123 del 2009-05-22 pagina 35

Si impicca Lucy Gordon, l’attrice di Spiderman
di Redazione

A 29 anni si è tolta la vita, aveva appena finito di recitare la parte di Jane Birkin in "Giansbourg"

Cannes - È stato il suo compagno a trovarla impiccata nel loro appartamento parigino di Rue des Petites Ecuries, cuore del X arrondissement di Parigi. Proprio oggi Lucy Gordon avrebbe compiuto 29 anni.

In Bambole russe di Cédric Klapisch, Lucy Gordon incarnava la tentazione dell’eroe: un’indossatrice bella, magnificamente bella, di cui seguivamo l’ossessivo ancheggiare. L’eroe era affascinato dalla linea delle gambe e dai tacchi a spillo, che incedevano in una via di Mosca, con la fragile regolarità d’un metronomo. Avevamo visto Lucy Gordon anche in uno dei maggiori successi del 2007, Spiderman 3 di Sam Raimi, regista che proprio ieri era a Cannes per presentare il suo ultimo film, una storia di orrore intitolata Drag Me to Hell, presentata fuori concorso al Festival. Infine Lucy Gordon aveva girato a Parigi solo il mese scorso, per il regista Joan Sfarr, Gainsbourg, il film biografico sul cantautore Serge Gainsbourg: impersonava Jane Birkin. Serge e Jane sono rispettivamente padre e madre di Charlotte, protagonista di Antichrist di Lars von Trier, tre giorni fa in concorso al Festival...

Denso di promesse per questa giovane inglese di Oxford che aveva già recitato in una decina di film tra i quali Profumo e Brevi interviste con uomini schifosi, tratto da un libro di racconti di David Foster Wallace, suicidatosi per impiccagione alcuni mesi fa, l’avvenire di Lucy Gordon s’è invece chiuso tragicamente ancora prima che si chiudesse il Festival. In preda al panico, il suo compagno si sarebbe precipitato da un negoziante, chiedendo aiuto. Invano. Al loro arrivo, i soccorritori hanno solo potuto constatare la morte di questa ragazza dal grande futuro.

Un testimone ha raccontato che Lucy aveva litigato col suo amico la sera prima della morte, ma sarebbe stata solo una banale lite fra innamorati. Conoscenti aggiungono che lei era molto addolorata per la morte di un amico britannico. I vicini, infine, mormorano che ancora lunedì lei aveva preso un caffè sotto casa e che sembrava perfettamente serena.

Suicidio? Lo confermeranno probabilmente l’autopsia e l’inchiesta. Intanto la triste notizia ha velato il sole di Cannes per Sam Raimi e per la troupe di Gainsbourg. Joann Sfarr ha detto: «La sua riuscita deve molto alla gentilezza e alla generosità di Lucy. Siamo devastati».



--------------------------------------------------------------------------------

© SOCIETÀ EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=352993

giovedì 21 maggio 2009

Padre Knotz, il frate che predica il Kamasutra-Un francescano che invece del Vangelo predica la pornografia-Vergogna !

Questo riepilogo non è disponibile. Fai clic qui per visualizzare il post.

Cannes:La guerra mondiale di Tarantino?

Cannes:La guerra mondiale di Tarantino?

il Giornale.it
n. 122 del 2009-05-21 pagina 36

La guerra mondiale di Tarantino? «Quella sporca dozzina» di ebrei
di Maurizio Cabona

Gli «Inglorious basterds» sono un gruppo di soldati più sadici dei nazisti. Il regista cita John Wayne e chiude con Morricone
CannesSe il mondo dei Festival andasse come dovrebbe, da ieri il più autorevole candidato al premio per il miglior attore sarebbe Christoph Waltz. Ma chi è costui? È il vero protagonista di Inglorious Basterds di Quentin Tarantino, il meno brutto dei suoi film. Per la precisione Waltz è l’attore che, nel ruolo di ufficiale dell’Sd (servizio segreto delle Ss), ruba la scena a Brad Pitt, ufficiale dell’esercito americano, dimostrandosi degno emulo di Peter Sellers.
Poliglotta, Waltz recita, da tedesco, in tedesco, ma anche lungamente in francese, inglese e italiano. Soprattutto rende il suo personaggio il più simpatico della grottesca compagnia della buona morte che percorre questo film, rilettura originale della Seconda guerra mondiale come scontro fra schiere opposte non di oppressori e liberatori, ma come schiere miste, da una parte e dall’altra, di assassini sadici e assassini algidi. Meglio i primi, perché con loro si può sopravvivere, se si ha qualcosa da offrire.
Come quello di Waltz, il personaggio di Pitt è un assassino algido; invece il commando di ebrei, comandato da Pitt, è di assassini sadici, seriali nel senso che uccidono tedeschi: nazisti o no, non fa differenza. Morale: in Inglorious Basterds non ci sono buoni, ci sono solo cattivi. I più forti sono ora gli uni, ora gli altri. Per tipi umani rappresentati, Inglorious basterds evoca Pulp Fiction, rifatto non più sulla costa occidentale degli Stati Uniti, ma sul fronte occidentale della Germania, cioè la Francia.
Tarantino s’infischia alla sua maniera dell’attendibilità cronologica e storica nell’ispirarsi a Quel maledetto treno blindato di Enzo G. Castellari, che a sua volta s’ispirava a Quella sporca dozzina di Robert Aldrich. Un gioco di specchi, con una spruzzata del Fassbinder di Lili Marleen, sagra della svastica; e con citazioni di nomi di attori e registi d’epoca (Pabst, Clouzot, la Riefenstahl, Jannings, la Darrieux...). E se Tarantino apre il film col motivo conduttore di Tiomkin nella Battaglia di Alamo di John Wayne e John Ford, lo chiude con il motivo conduttore di Morricone in Allonsanfan dei fratelli Taviani, tocco cinefilo simpatico e suggestivo, per una volta. Il resto è un inserimento nel genere bellico caro al Tarantino ragazzo di figure e situazioni del western italiano, specie quello dove ognuno è per sé e Dio è contro tutti, derivato da Sergio Leone.
Sulla scoperta di Waltz, Tarantino mi dice: «Per settimane a Berlino (il film è stato girato nei teatri di posa di Babelsberg, ndr) ho cercato un attore che fosse poliglotta e bravo. Senza di lui, niente film. Dopo l’audizione di Waltz, ho detto: il film si fa».
Meno convincente, sulla carta, pareva aver ambientato la seconda metà del film nella Parigi del luglio 1944, un mese dopo lo sbarco in Normandia, due settimane prima giorni dell’attentato a Hitler. Ma, grazie alle formidabili scenografie offerte da Babelsberg, il giochetto di condurre la realtà in una sala cinematografica ha funzionato, lubrificato da momenti di parodia e umorismo surreale. La retorica resistenziale qui si sfarina in un macello dove le «vittime» sono degne dei «carnefici», fino allo svelarsi di un intento fantapolitico rétro: l’attentato storico contro il Führer non avviene più al suo quartier generale in Prussia orientale, ma nel cinemino di quartiere (Grindhouse in inglese... ). E anche l’esito dell’esplosione cambia, cambiando la storia...
«Ho voluto che a sconfiggere il nazismo fosse la forza del cinema», dice Tarantino col suo eterno sorriso, che forse è eterno solo per la conformazione della mandibola. «Comunque il finale giustifica tutto quello che lo spettatore ha visto prima». Quanto a Eli Roth, regista della delirante serie splatter di Hostel, prodotta sempre da Tarantino, ma qui in veste di attore, spiega la sua partecipazione come dettata dalla «vendetta ebraica». Il commando di ebrei non cerca vittoria per gli Stati Uniti, cerca vendetta per gli ebrei. «È un sogno, ma chi non ha sognato di fare una lunga strage di nazisti?». Già, chi?
Perché gli inglorious, oltre che senza gloria, sono basterds e non bastards? «Quando si fa qualcosa di artistico, è difficile spiegarne ragioni e fini. Se avessi voluto togliere la lettera “e” a “hotel”, come potrei spiegarlo?» Già, come? Il mistero fonetico resta, cade però quello sullo stato magmatico del cervello di Tarantino.

© SOCIETÀ EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=352763

Samantha Cristoforetti ha conseguito l'abilitazione al volo sui versatili caccia AMX e AMXT


Samantha Cristoforetti ha conseguito l'abilitazione al volo sui versatili caccia AMX e AMXT
Top gun ad Amendola
la donna astronauta

Samantha Cristoforetti è ufficiale pilota della nostra Aeronautica Militare. Samantha, 32 anni, è in forza presso il 32° Stormo di Amendola (Foggia). Ed è in questa base che ha conseguito l'abilitazione al volo sui versatili caccia AMX e AMXT

È stata dura, ma alla fine ce l’hanno fatta. Ed è una grande vittoria italiana, quella annunciata ieri pomeriggio a Parigi, presso la sede dell’ESA, l’agenzia spaziale europea. Dopo qualche anno, l’Europa dello spazio ha un nuovo gruppetto di astronauti, e due di essi sono italiani, compresa la prima italiana. Samantha Cristoforetti e Luca Salvo Parmitano, sono entrambi ufficiali piloti della nostra Aeronautica Militare, e Samantha, 32 anni, indossa la divisa azzurra attualmente in forza presso il 32° Stormo di Amendola (Foggia). Ed è in questa base che ha conseguito l’abilitazione al volo sui versatili caccia AMX e AMXT.

La Cristoforetti e Parmitano, che si aggiungono agli esperti Roberto Vittori e Paolo Nespoli, portano la bandiera italiana in un gruppo dove sono presenti anche il tedesco Alexander Gerst, il danese Andreas Mogensen, il britannico Timothy Peake, e il francese Thomas Pesquet. La loro avventura era iniziata nel 2008, quando l’ESA lanciò un bando per la selezione di nuovi astronauti, affidando quindi l’incarico alle agenzie spaziali di tutti i paesi membri dell’ente spaziale europeo, di preparare una preselezione.

Gli aspiranti astronauti europei, lo scorso anno erano inizialmente più di 8.500; alla fine, erano rimasti in otto, e da questi sono usciti i sei che il direttore dell’ESA, Jean Jaques Dordain, ha presentato ieri. Le selezioni si sono ridotte man mano negli ultimi mesi con prove sempre più difficili, a cominciare dalla centrifuga, che può apparire più semplice per chi è abituato a pilotare dei caccia, ma che in realtà mette a dura prova tutti i candidati, sia piloti, sia coloro che arrivano da esperienza come ricercatori.

«Siamo felici che tra loro ci sia una donna, la prima italiana e l’unica in Europa», ha detto Enrico Maggese, Commissario Straordinario dell’ASI – «È la dimostrazione che per l’Italia lo spazio è un settore importante e vitale, capace di attirare i nostri migliori talenti».

Samantha Cristoforetti, tenente pilota, è originaria del Trentino. L’addestramento dei sei nuovi astronauti avrà inizio in settembre, avrà una durata di 18 mesi, e sarà seguito dalla preparazione specifica per le loro missioni, che non potrà avvenire a bordo degli shuttle NASA, il cui «pensionamento» è previsto per fine 2010, e potrà essere più dedicato ai nuovi mezzi spaziali in via di sviluppo da parte di ESA e NASA, oltre alle missioni delle navicelle russe Sojuz: «Questi astronauti fanno già parte della generazio ne che guarda al ritorno sulla Luna e alle nuove esplorazioni» – ha detto il direttore ESA Dordain. – «Stiamo tutti lavorando per fare proposte per essere parte e partner di questa avventura con la cooperazione internazionale. È per questo che abbiamo optato per un’età media così bassa dei nuovi astronauti».
ANTONIO LO CAMPO


http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallapuglia_NOTIZIA_01.php?IDNotizia=241943&IDCategoria=1




21 Maggio 2009

mercoledì 20 maggio 2009

L'ULTIMO SALUTO A SUSANNA AGNELLI


L'ultimo saluto a Susanna Agnelli
Sul Monte Argentario cerimonia privata
Funerali privati, con un centinaio di persone tra parenti e amici per Susanna Agnelli, morta venerdì scorso a Roma all'età di 87 anni. Al convento dei frati Passionisti sul Monte Argentario a darle l'ultimo saluto, i figli, i nipoti, le sorelle e gli amici di lunga data. Il rito funebre nella minuscola chiesa del convento è iniziato con 10 minuti d'anticipo e data la limitata capienza del luogo molti partecipanti non sono riusciti ad entrare.

http://www.tgcom.mediaset.it/cronaca/articoli/articolo449993.shtml


E' morta a 87 anni Susanna Agnelli, la sorella dell'Avvocato
Nata a Torino nel 1922, la sorella dell'Avvocato Gianni Agnelli si è spenta al Policlinico Gemelli di Roma, dove era ricoverata per i postumi di un intervento subito
Adnkronos - Pubblicato il 15/05/2009 22.00.00



ROMA - Si è spenta questa sera a Roma Susanna Agnelli, sorella dell'Avvocato Gianni. Nata a Torino, 24 aprile 1922 era ricoverata al Policlinico Gemelli per i postumi di un intervento traumatologico subito dopo la rottura del femore. A quanto si apprende da fonti mediche, il decesso è avvenuta alle 18.50 di oggi nel reparto di terapia intensiva cardiologica del policlinico romano. Era stata Ministro degli Esteri durante il governo Dini e ricopriva la carica di presidente della Fondazione Telethon

Figlia di Edoardo Agnelli (1892 - 1935) e di Virginia Bourbon del Monte (1899 - 1945), la Agnelli è stata un'esponente di spicco della storica famiglia torinese proprietaria della Fiat. Durante la seconda guerra mondiale entrò nella Croce Rossa per portare il suo aiuto sulle navi che trasportano soldati feriti, e alla fine della guerra sposò il conte Urbano Rattazzi, da cui ebbe sei figli. Dal 1974 al 1984 ricoprì la carica di sindaco del comune di Monte Argentario (Grosseto), mentre nel 1976 venne eletta deputato, e nel 1983 senatore nelle liste del Partito Repubblicano Italiano. Sottosegretario agli Esteri dal 1983 al 1991 sotto varie presidenze del Consiglio, ricoprì ella stessa il ruolo di Ministro degli Esteri, essendo quindi la prima ed unica donna nella storia italiana ad accedere al dicastero che ha sede alla Farnesina. La sua è stata, più che altro, una prestazione tecnica nel governo guidato da Lamberto Dini tra il 1995 e il 1996.

Tra le attività di Susanna Agnelli ce n'era una che le stava particolarmente a cuore, quella di presidente della Fondazione Telethon. Fu lei, infatti, nel 1990 ad importare dall'America l'idea di una grande maratona televisiva benefica. L'idea era venuta nel 1966 a Jerry Lewis, l'attore comico americano aveva inventato la prima non-stop televisiva per raccogliere fondi a favore della ricerca sulla distrofia muscolare riscuotendo un successo senza precedente. Nel 1987 l'Associazione francese contro le Miopatie (AFM) ripropose l'esperienza oltralpe.

E dal 1990, grazie all'incontro tra Susanna Agnelli e l'Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare (Uildm), la maratona Telethon sbarco' anche in Italia, sulle reti Rai. Per diventare presto un appuntamento fisso, che si e' ripetuto e superato nelle cifre della raccolta fondi ogni anno. Da allora Telethon ha finanziato 2160 progetti in diversi ambiti della ricerca su 434 malattie genetiche, con un investimento diretto di 284 milioni di euro, la pubblicazione di 6410 articoli scientifici e soprattutto la cura definitiva di dodici bambini affetti da una gravissima immunodeficienza, fino ad allora incurabile.

http://www.arezzoweb.it/notizie/speciale.asp?idnotizia=18807

CANNES: FISCHI ALL'ANTICHRIST

Fischi all'Antichrist
Il film di Lars Von Trier era il più atteso, sotterrato dai commenti della critica. Ma Cannes è anche: Monica e Sophie belle in rosso e una strabordante Mariah

Scandaloso doveva esserlo fin nelle intezioni (e fin nel titolo, naturalmente): l'Antichrist di Lars Von Trier è riuscito almeno in parte nel suo intento di non restare indifferente. Fischi, "buuu", risate denigratorie a scena aperta da parte dei giornalisti e dei critici presenti alla proiezione stampa del film. Sesso esplicito, violenze di ogni tipo, sangue e una scena di auto-infibulazione che fa molto discutere («in questo film non c'è nessuna logica, ma è solo un lungo sogno troppo nero su colpevolezza e senso di colpa. E, allora, secondo me, ci stava tutta», la difende il regista). Nella prima scena un uomo e una donna (lei è Charlotte Gainsbourg , lui Willem Dafoe) stanno facendo l'amoree non si accorgono che nell'altra stanza il loro bambino si affaccia dalla finestra della sua camera e poi cade, perdendo la vita. Da qui un viaggio nel senso di colpa e nell'orrore per un film nato dopo un lungo periodo di depressione e di terapia psicanalitica del regista. «Non mi devo giustificare con voi - ha detto Von Trier ai giornalisti - io lavoro per me, non ho fatto un film per voi, ma per me stesso». Per lui si registra anche una gaffe: al giornalista che gli chiedva perché, visti i toni horror, il film non fosse stato dedicato da lui a Dario Argento piuttosto che ad Andrei Tarkovskj, il regista ha sussurrato «Argento chi?». Chissà come l'avrà presa Asia, in giuria...

Monica e Sophie, donne in rosso
Fischi anche per il film presentato nella sezione Mezzanotte da Marceau e Bellucci, che invece sul tappeto rosso di rosso vestite hanno fatto il pieno di complimenti e fischi di ben altro genere. Dirette da Marina De Van in Non Ti Voltare, le due affascinanti attrici interpretano un thriller psicologico che non è piaciuto alla critica. La Bellucci l'ha presa bene: «Scelgo un film quando mi piace la storia e il regista, ma non penso a quello che diranno i giornalisti». E anche: «Sono così abituata alle critiche negative che mi stupisco quando non ci sono. Dopo la proiezione di Irreversible fui quasi aggredita fisicamente da una signora indignata. Come avevo osato farlo? Poi è diventato un film culto». Molto meno serena la reazione di Sophie Marceau. Secondo lei «nessuno ha il diritto di dare giudizi, siamo qui per raccontare una storia e trovo strano che qualcuno ne parli con ton i negativi».

Ken Loach, il più applaudito
Applausi ed entusiasmo alla proiezione del regista inglese che in Looking For Eric racconta una favola proletaria a base di calcio, risate e voglia di rivalsa. Ken il Rosso infila nella storia un mito del pallone come Eric Cantona, del Manchester United, e lo trasforma in una sorta di angelo custode che si materializza dopo che un postino di mezza età si è fuma uno spinello...

Mariah Carey, troppe curve?
Ospite per un party sulla barca dello stilista Cavalli ormeggiata a Cannes insieme al marito, l'artista è apparsa decisamente ingrassata. L'abito che indossava non nascondeva affatto le nuove forme, anzi: e i fotografi si sono scatenati nell'immortalare il suo "fianco peggiore".

Johnny Hallyday fa il gangster per Johnnie To
Applaudito timidamente, dalla stampa Vengeance, un thriller "ispirato dal western" secondo il suo regista, Johnnie To di Hong Kong. Protagonista la star indiscussa della canzone francese, Johnny Hallyday, perfetto nel ruolo del gangster



Tutti nudi sulla Croisette
Il cast di Le merditute des choses (letteralmente la Merditudine delle cose), film di produzione belga, ha deciso di promuovere la pellicola al Festival di Cannes 2009 arrivando sulla Croisette in bici completamente nudi. Il film di Felix Van Groeningen raconta la vita squallida di una famiglia di uomini di varie età che vive sulle spalle della vecchia madre e della sua pensione. Il più giovane di loro cercherà di cambiare il suo destino.

Gara tra dive
È nata una stella: la più corteggiata sulla Croisette è sicuramente la giovane attrice australiana Abbie Cornish a Cannes con il film di Jane Campion Bright Star. Paragonata da più parti a una Nicole Kidman prima maniera, sia per i suoi lineamenti delicati e per il suo sguardo d'acciaio, che per le sue origini. La bellezza fresca di Abbie ha tolto un po' di luce ad altre star. Una fra tutte Eva Longoria, che - poco elegantemente - si era presentata sul red carpet con un lussuosissimo Versace con tanto di strascico. (Libero News)


http://magazine.libero.it/speciali/cannes-2009-sp350/pg5.phtml

L'Inter vince lo scudetto dei debiti

L'Inter vince lo scudetto dei debiti
di CORRADO SANNUCCI

CHE campionato è quello che vediamo? Semplicemente quello dei debiti. Prima l'Inter, l'anno scorso Moratti ripianò il deficit con un versamento di più di 180 milioni di euro. Lo scudetto è suo. Secondo il Milan, meno 63 milioni. Quarta, ad un passo dal terzo posto, la Fiorentina: i Della Valle versarono nella scorsa stagione 50 milioni nelle casse della società. Quinto il Genoa, dove Preziosi sta investendo da anni (e quest'anno vendendo Milito e Thiago Motta si rifarà).

C'è poi il campionato degli autofinanziati: lo scudetto è della Juventus, al momento terza, seguita dalla Roma, al momento sesta. La prima è in Champions, la seconda in Uefa (non è certo), la Juve resterà a galla, la Roma forse affogherà. Le partite che vediamo sono tra squadre che offrono 4 milioni di euro alle riserve contro chi con quei soldi paga mezza squadra. La forbice di risorse è spaventosa, con i ricchi che tali restano e i poveri che si impoveriscono di più e si rassegnano alla marginalità. E' naturale che la battaglia dell'Uefa contro i club che hanno debiti non trovi sostenitori in Italia. E' curioso che in un contesto così squilibrato tutte le squadre di serie A considerino di avere interessi comuni, tanto da formare una Lega tutta loro. Ma la Lega di A dovrebbe dividersi in due, tra chi prende soldi al di fuori degli incassi e chi si autofinanzia. Riformare questa situazione perversa non interessa nessuno, i potenti perché così dominano, i poveri perché comunque raccattano le briciole.

Una volta chi i mecenati erano chiamati 'i ricchi scemi', buttavano soldi in squadre al di fuori del potere e le squadre del nord comandavano il calcio. Adesso ci sono i ricchi, per niente scemi, tant'è vero che si prendono gli scudetti.



17 maggio 2009



http://www.repubblica.it/2009/05/sport/calcio/campionato-dei-debiti/campionato-dei-debiti/campionato-dei-debiti.html

L'INTER VINCE LO SCUDETTO

Non ha ancora nemmeno giocato questa giornata di campionato, eppure è diventata Campione di Italia vincendo il suo 17° scudetto. Parliamo dell‘Inter. La squadra di Josè Mourinho giocherà domani sera contro il Siena con già lo scudetto in tasca. Questo grazie ad un regalo dei “cugini” del Milan che, nella partita di questa sera contro l’Udinese, hanno perso per 2-1. I nerazzurri hanno seguito la partita del Milan dal ritiro di Appiano Gentile. Domani sera a SanSiro, nella gara contro il Siena, spazio anche ai festeggiamenti.
Festeggiamenti doppi per il Presidente Massimo Moratti che proprio oggi festeggia anche il compleanno.

16 Maggio 2009


http://unduetreblog.wordpress.com/2009/05/16/speciale-campionato-inter-vince-lo-scudetto/

LA LAZIO VINCE LA COPPA ITALIA




il Giornale.it
n. 20 del 2009-05-18 pagina 35

Coppa Italia, la Lazio
di rigore batte la Samp
di Marcello Di Dio

La partita finisce 1-1. Segna subito Zarate, ma pareggia Pazzini. Si va ai rigori: Cassano sbaglia, decide Dabo. Delio Rossi corona quattro anni di lavoro. Per Mazzarri l'addio ora è certo


Roma - La Coppa Italia resta a Roma, ma sulla sponda biancoceleste. Rigori (14 addirittura) fatali alla Samp: decidono Dabo e due parate di Muslera (la prima su Cassano che spreca il primo tiro dal dischetto). Delio Rossi che finisce in paradiso e corona il lavoro di quattro anni, Walter Mazzarri all’inferno e dà il commiato alla piazza doriana.

Il trofeo che una volta, malignamente, era definita un portaombrelli, diventa l’ancora di salvezza della stagione. In una sola sera, la Lazio si porta a casa la Coppa – la quinta della sua storia -, un passaporto europeo, cinque milioni di euro tra incasso, successo finale e partecipazione sicura alla finale della Supercoppa di Pechino l’8 agosto.
Scenografia davvero spettacolare, con uno stadio per tre quarti biancoceleste e la curva Sud tutta blucerchiata. Una cornice di pubblico che stupisce anche il presidente della Repubblica Napolitano, ospite d’onore della serata dell’Olimpico che alla fine premierà i vincitori. Anzi il presidente si rivela persino opinionista Tv nell’intervallo della partita, durante il quale parla di calcio e Giro. Zona dello stadio paralizzata dall’afflusso dei tifosi in una serata da prove generali per la sfida più prestigiosa (la finale di Champions tra Manchester United e Barcellona) in programma fra 13 giorni.
È una finale inedita e forse tra quelle di minor valore tecnico guardando l’anemica classifica delle due squadre in campionato e quanto mostrato nei 120’.

Anche se Lazio e Samp, nella loro corsa verso l’Olimpico, hanno fatto fuori avversari del calibro di Milan, Juventus e Inter. Nel ballo delle debuttanti, come ha definito il match il direttore generale della Samp Marotta, e sotto gli occhi del ct Marcello Lippi il copione prevede un inizio al fulmicotone della Lazio. Subito avanti tutta e nel primo vero affondo arriva la rete di Zarate, uno dei pochi elementi di classe presenti in campo. L’argentino segna alla sua maniera: sgroppata sulla sinistra, slalom tra gli avversari (l’ultimo è Campagnaro) e tiro a girare che sorprende Castellazzi. Sembra l’antipasto di una serata in discesa e invece alla Lazio resta solo il predominio territoriale.

Delio Rossi costruisce bene tatticamente il match, piazzando Dabo a controllare i movimenti di Cassano (solo qualche lampo per il genietto barese fischiatissimo dal pubblico dell’Olimpico di fede laziale). I biancocelesti lasciano poche iniziative ai doriani, provano a sfondare a sinistra con le sovrapposizioni di Foggia e Kolarov e arrivano vicini al raddoppio, ma Castellazzi prima rinvia il bolide di Kolarov e poi sventa il possibile tap-in di Pandev. Più un errore del macedone, in verità, che è uno dei grandi assenti della partita, colpa forse di quell’infortunio che lo ha tenuto in allarme fino alla vigilia.
Dal 2-0 mancato si passa al pareggio, improvviso e quasi sorprendente della Samp, con la rapida esecuzione di testa di Pazzini, valore aggiunto dei blucerchiati nella seconda parte della stagione. Il pari è una mazzata psicologica per i laziali, che fino al termine del primo tempo faticano a riprendersi.

Diverso l’atteggiamento nella ripresa, anche se Kolarov salva sulla linea dopo 70 secondi, quando la Lazio riprende l’inerzia della partita e spende ogni stilla di energia per cercare, inutilmente, di evitare la coda dei supplementari. Durante i quali Pazzini ha però sul piede la palla del 2-1 e la squadra di Delio Rossi protesta per un rigore non concesso. Fino al 120’ ai punti meriterebbe la Lazio, ma tutto si decide ai rigori.



--------------------------------------------------------------------------------

© SOCIETÀ EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
n. 20 del 2009-05-18 pagina 35

Coppa Italia, la Lazio
di rigore batte la Samp
di Marcello Di Dio

La partita finisce 1-1. Segna subito Zarate, ma pareggia Pazzini. Si va ai rigori: Cassano sbaglia, decide Dabo. Delio Rossi corona quattro anni di lavoro. Per Mazzarri l'addio ora è certo

Roma - La Coppa Italia resta a Roma, ma sulla sponda biancoceleste. Rigori (14 addirittura) fatali alla Samp: decidono Dabo e due parate di Muslera (la prima su Cassano che spreca il primo tiro dal dischetto). Delio Rossi che finisce in paradiso e corona il lavoro di quattro anni, Walter Mazzarri all’inferno e dà il commiato alla piazza doriana.

Il trofeo che una volta, malignamente, era definita un portaombrelli, diventa l’ancora di salvezza della stagione. In una sola sera, la Lazio si porta a casa la Coppa – la quinta della sua storia -, un passaporto europeo, cinque milioni di euro tra incasso, successo finale e partecipazione sicura alla finale della Supercoppa di Pechino l’8 agosto.
Scenografia davvero spettacolare, con uno stadio per tre quarti biancoceleste e la curva Sud tutta blucerchiata. Una cornice di pubblico che stupisce anche il presidente della Repubblica Napolitano, ospite d’onore della serata dell’Olimpico che alla fine premierà i vincitori. Anzi il presidente si rivela persino opinionista Tv nell’intervallo della partita, durante il quale parla di calcio e Giro. Zona dello stadio paralizzata dall’afflusso dei tifosi in una serata da prove generali per la sfida più prestigiosa (la finale di Champions tra Manchester United e Barcellona) in programma fra 13 giorni.
È una finale inedita e forse tra quelle di minor valore tecnico guardando l’anemica classifica delle due squadre in campionato e quanto mostrato nei 120’.

Anche se Lazio e Samp, nella loro corsa verso l’Olimpico, hanno fatto fuori avversari del calibro di Milan, Juventus e Inter. Nel ballo delle debuttanti, come ha definito il match il direttore generale della Samp Marotta, e sotto gli occhi del ct Marcello Lippi il copione prevede un inizio al fulmicotone della Lazio. Subito avanti tutta e nel primo vero affondo arriva la rete di Zarate, uno dei pochi elementi di classe presenti in campo. L’argentino segna alla sua maniera: sgroppata sulla sinistra, slalom tra gli avversari (l’ultimo è Campagnaro) e tiro a girare che sorprende Castellazzi. Sembra l’antipasto di una serata in discesa e invece alla Lazio resta solo il predominio territoriale.

Delio Rossi costruisce bene tatticamente il match, piazzando Dabo a controllare i movimenti di Cassano (solo qualche lampo per il genietto barese fischiatissimo dal pubblico dell’Olimpico di fede laziale). I biancocelesti lasciano poche iniziative ai doriani, provano a sfondare a sinistra con le sovrapposizioni di Foggia e Kolarov e arrivano vicini al raddoppio, ma Castellazzi prima rinvia il bolide di Kolarov e poi sventa il possibile tap-in di Pandev. Più un errore del macedone, in verità, che è uno dei grandi assenti della partita, colpa forse di quell’infortunio che lo ha tenuto in allarme fino alla vigilia.
Dal 2-0 mancato si passa al pareggio, improvviso e quasi sorprendente della Samp, con la rapida esecuzione di testa di Pazzini, valore aggiunto dei blucerchiati nella seconda parte della stagione. Il pari è una mazzata psicologica per i laziali, che fino al termine del primo tempo faticano a riprendersi.

Diverso l’atteggiamento nella ripresa, anche se Kolarov salva sulla linea dopo 70 secondi, quando la Lazio riprende l’inerzia della partita e spende ogni stilla di energia per cercare, inutilmente, di evitare la coda dei supplementari. Durante i quali Pazzini ha però sul piede la palla del 2-1 e la squadra di Delio Rossi protesta per un rigore non concesso. Fino al 120’ ai punti meriterebbe la Lazio, ma tutto si decide ai rigori.



--------------------------------------------------------------------------------

© SOCIETÀ EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=350988

PRIMA DELLA PARTITA LAZIO-SAMP

Lazio-Samp, tre mondi in una Coppa:
chi vince va in Europa e vola a Pechino
di Gabriele De Bari
ROMA-13 maggio-2009 - Il mondo in una notte romana. Coppa Italia, posto in Europa, passaporto per Pechino dove si giocherà la Supercoppa italiana. E’ il momento della verità, la partita che vale una stagione intera, crocevia tra Paradiso e Inferno il cui labile confine è affidato a un gol. Quello chedeciderà l’inedita finale tra Lazio e Sampdoria in un Olimpico ricolmo di pubblico e pronto a issare il gran pavese per un trofeo che si sta rivalutando: per prospettive, interessi, immagine, prestigio. Entrambe le squadre sono a caccia della quinta Coppa ma, soprattutto, di una serata da consegnare alla storia del club. La sfida secca, senza appelli, da adrenalina pura, da vivere con il cuore in gola almeno sugli spalti. In campo, invece, ci vorranno freddezza, forza e feroce determinazione.

Alla vigilia della prima finale della carriera, Delio Rossi ostenta un certo distacco anche per stemperare le forti tensioni che pesano sulle Lazio. «Per me ogni partita è come una finale però ammetto che, almeno questa volta, sarà un po’ diverso». Poi, con una frase a effetto, rivela il vero significato di questo appuntamento. «Guai ai vinti. Chi conquisterà il trofeo andrà in Paradiso, chi lo perderà finirà all’Inferno...» E questo perché, sulla coppa Italia, si appuntano tutte le speranze del popolo biancoceleste di riscattare un campionato molto deludente. «Questa partita rappresenta un discorso a parte, i bilanci li facciamo dopo. Il futuro è adesso e noi vogliamo la Coppa per regalare ai tifosi, che negli ultimi tempi hanno visto vincere gli altri, una bella soddisfazione. Ci teniamo per loro, per una società giovane che ha iniziato un altro ciclo, per i calciatori che possono entrare nella storia del club con un grande risultato. Però non ritengo giusto legare il giudizio di una stagione e il lavoro di un allenatore a una partita sola, ma questa è una finale che può cambiare molto». In ballo ci sono milioni di euro e nuove prospettive economiche che andranno a incidere sulla costruzione della nuova Lazio.

Al tecnico non preoccupano le ultime sconfitte della squadra. «Il campionato è altra storia: per vincere serviranno testa fredda e cuore caldo. Più che le gambe, saranno importanti il fattore mentale, il livello di concentrazione, la volontà di arrivare al successo. In questi giorni ci siamo preparati bene, cercando di recuperare gli infortunati e di studiare ogni dettaglio della sfida. I ragazzi sono consapevoli dell’importanza di questo momento, delle pressioni che ci sono, della spinta che riceveranno dal pubblico, anche se i tifosi non fanno gol. La squadra, negli appuntamenti più importanti, è sempre stata all’altezza della situazione e questo è un aspetto che mi dà molta fiducia in vista della finale».

In una partita la Lazio ha quindi la possibilità di colorare e dare senso concreto alla sua annata. «Ci giocheremo tanto, per questo non deluderemo». Il tecnico, vicino al divorzio, vuol lasciare un altro segno tangibile del suo lavoro regalando al presidente Lotito il primo trofeo della sua gestione in un Olimpico che, per due terzi, sarà biancoceleste». E sul fattore campo, ”pizzica” Mazzarri. «Dice che siamo favoriti. Così, se vince, avrà realizzato l’impresa, in caso contrario avrà perso contro la squadra favorita...» Per l’undici da schierare ha un solo dubbio da sciogliere, anche se tutto lascia supporre che preferirà il recuperato Pandev a Rocchi. «Goran sta bene, ma deciderò solo all’ultimo, non dimentichiamoci che ci potrebbero essere anche i tempi supplementari. Quanto ai rigoristi, non sono stati scelti, dipenderà da chi starà meglio al momento». Sul piano tattico, però, Rossi ha una convinzione. «Credo che la Sampdoria lascerà fare la partita a noi. E dovremo essere bravi a gestirla con attenzione, intelligenza e concentrazione. Cassano rappresenta l’elemento di maggiore spessore, che bisognerà controllare bene, ma ci sono anche altri calciatori importanti da tenere in considerazione. Per vincere la Coppa dovremo giocare una partita perfetta». E’ quello che il popolo laziale si aspetta per tornare a vincere un trofeo, che manca da 5 anni, e per riconsegnare la Lazio all’Europa e al mondo.

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=58022&sez=HOME_SPORT

domenica 10 maggio 2009

Serie A: le pagelle di Chievo-Inter


Serie A: le pagelle di Chievo-Inter
(AGM-DS) - 10/05/2009 19.12.03 - (AGM-DS) - Milano, 10 maggio - Le pagelle di Chievo-Inter, terminata 2-2.

CHIEVOVERONA
Sorrentino 5 -Non è il Sorrentino visto domenica scorsa. In avvio di gara ne combina diverse. Grandi colpe ha infatti sul gol di Crespo dopo 2' di gioco.
Sardo s.v. -Solo 15' per lui.
Yepes 6 -Buono in marcatura sugli attaccanti nerazzurri e preciso nei disimpegni.
Mantovani 6 -Bravo a spingere con costanza sulla propria fascia. I suoi cross sono sempre insidiosi.
Malago' 5.5 -Entra negli ultimi minuti facendosi notare per qualche fallo di troppo. Si becca anche il giallo.
Frey 5.5 -Lascia troppa iniziativa all'avversario di fascia, Maxwell e delle volte fa correre troppi pericoli alla sua squadra.
Bentivoglio 6 -Cerca delle volte la conclusione personale ma senza la giusta convinzione.
Morero 6.5 -Chiude bene gli spazi a Crespo lasciando all'argentino poche palle giocabili.
Marcolini 7 -Il suo gol è davvero un capolavoro. Sempre presente nelle azioni offensive dei clivensi, si porta al tiro in almeno altre 3 circostanze.
Luciano 7 -Quando parte in accellerazione non lo ferma nessuno. Regala ai suoi il pari con un gran gol.
Rigoni 6 - Dopo un timido avvio di gara, prende coraggio e conquista sempre più spazi nel centrocampo.
Bogdani 6.5 -Ci mette una grande carica su ogni pallone ed è bravo a vincere diversi contrasti con i difensori nerazzurri.
Pellissier 6 -Tra gli attaccanti è quello meno vivace, ma da comunque il suo valido contributo anche in mezzo al campo.
Esposito 6.5 -Prende il posto di Bentivoglio al 72' ed è bravo a trovare subito la giusta posizione in campo.

INTER
Julio Cesar 6 -Sui gol non ha grandi colpe. Ma appare troppo incerto in alcune uscite.
Samuel 6 -Prestazione sufficiente ma non esaltante. Non sempre pulito sugli interventi.
Zanetti 6.5 -Fa il terzino ma anche il centrocampista, di fascia ma anche di interdizione all'occorrenza. Corre per quattro e si porta anche al tiro.
Cordoba 5.5 -Non sempre preciso in marcatura. Si lascia sfuggire troopo spesso per uno come lui gli, attaccanti avversari.
Burdisso 6 -Trova la giusta posizione in mezzo al campo ed è bravo anche ad aiutare i compagni in difesa.
Muntari 5.5 -Non sembra trovare la giusta posizione in mezzo al campo. Non garantisce i soliti inserimenti offensivi a cui ci ha abituato.
Jimenez 6 -Cerca di inventarsi qualche giocata nel finale ma senza incidere particolarmente.
Maxwell 5 -Mourinho gli da una chance ma lui non la sfrutta, anzi...Troppi gli errori in disimpegno, alcuni dei quali innescano le azioni da gol degli avversari.
Figo 6 -Dopo un buon primo tempo, si perde un pò, ma vista l'età non gli si può forse chiedere di più. Colpisce un palo nei primi minuti.
Stankovic 6 -Primo tempo in sordina, nella ripresa si fa vedere di più anche in fase di impostazione.
Cambiasso 7 -Come il capitano, ha garantito la solita carica agonistica in mezzo al campo. Lotta su ogni pallone e cerca la vittoria fino all'ultimo secondo.
Balotelli 7 -E' davvero un giocatore straordinario. Si inventa il gol del vantaggio e regala altre straordinarie giocate.
Crespo 6 -Dopo il gol in avvio si perde un pò. Nella ripresa è costretto a uscire per infortunio.
Cruz 5 -Rileva Crespo nella ripresa, ma non riesce ad essere incisivo in area come al solito.



(R. Datasport, DTS)


http://www.datasport.it/leggi.aspx?id=5633201

Serie A: le pagelle di Milan-Juventus


Serie A: le pagelle di Milan-Juventus
(AGM-DS) - 10/05/2009 22.50.21 - (AGM-DS) - Milano, 10 maggio - Le pagelle di Milan-Juventus, terminata 1-1.

MILAN
Kalac 5.5 Ha delle colpe sul gol di Iaquinta. E’ l’unica azione nella quale entra in gioco.
Zambrotta 6 Offre una discreta prestazione di sostanza e di spinta ma non basta. In avanti non ha il supporto.
Maldini 6 E’ il suo ultimo match contro la Juventus e da il 200%. Deve vedersela con un cliente non facile come Iaquinta ma lo chiude bene. Nervoso nel finale con Chiellini.
Favalli 6 Come Maldini sbaglia poco anche se sui palloni alti soffre. Espulso nel finale per doppia ammonizione.
Senderos s.v. Pochi minuti a disposizione per il difensore.
Flamini 6.5. Gioca da terzino destro spingendo però troppo. Lascia scoperta la sua fascia costringendo Beckham agli straordinari. Superato senza difficoltà da Iaquinta in occasione del gol.
Pirlo 5.5 Ci mette come minimo mezz'ora per entrare in partita. Un pò troppo da parte sua.
Kaka' 5 Parte male e prosegue ancora peggio. Sbaglia tutto.
Ambrosini 6.5 Come al solito offre una grande prestazione. Trova anche l’assist per Seedorf anche se in realtà è un tiro ciccato.
Seedorf 7 Come sempre quando il Milan non gira il pubblico lo fischia. Lui risponde con un gol peccato che venga subito pareggiato. Un signore.
Beckham 5.5 Non può giocare come vorrebbe complice Flamini che sale troppo. Deve occuparsi della fase difensiva troppo spesso.
Ronaldinho s.v. Il brasiliano non riesce a fornire quella fantasia che i rossoneri cercano nei minuti finali.
Inzaghi 6 Ci prova in tutti i modi ma quando non gira non c’è niente da fare. Vicino al gol con una girata magistrale.
Pato 5 Non riesce in nessuna delle sue incursioni. Solo in un occasione si rende pericoloso ma l’arbitro non concede il rigore nonostante l’evidente intervento falloso di Legrottaglie.

JUVENTUS
Buffon 6 Poco impegnato nel corso del primo tempo. Deve solo respingere un tiro di Kakà. Sul gol non può nulla.
Zebina 6 Entra al posto dell'infortunato De Ceglie e chiude bene su Ronaldinho.
Chiellini 6.5 Marca bene Inzaghi. Nel finale ha un battibecco con Maldini che potrebbe risparmiarsi.
Grygera 5.5 Non spinge sulla destra. Spostato poi sulla sinistra gioca leggermente meglio.
Legrottaglie 6 Protagonista di un fallo da rigore non sanzionato dall’arbitro. Nel complesso non demerita.
De Ceglie 6 Fin dalle prime battute si vede che è in forma e mette in difficoltà Flamini con le sue progressioni. Peccato che deva uscire per un dolore al costato.
Poulsen 5.5 Ha la più clamorosa delle occasioni ma la fallisce calciando fuori. Dovrebbe raddrizzare il piede.
Marchionni 5 Non si vede per tutta la gara. Sia in avanti che indietro.
Camoranesi 5.5 Non molto in palla sbaglia alcuni passaggi facili. Deve trovare maggiore continuità. Dovrebbe cercare di farsi perdonare dai suoi tifosi ma è ancora lontano.
Zanetti 6 Gestisce bene il possesso palla a centrocampo e non ha paura di confrontarsi con giocatori, oggi non in palla, come Pirlo e Beckam.
Del Piero s.v. Pochi minuti a disposizione per il capitano che non ha modo di mettersi in evidenza.
Iaquinta 7.5 Sfrutta la sua velocità contro i non certo veloci Maldini e Favalli. Trova un bel gol di testa e offre una prestazione di grande sacrificio.
Amauri 6 Il brasiliano gioca molto largo non dando punti di riferimento ai difensori bianconeri.


(R. Datasport, DTS)








http://www.datasport.it/leggi.aspx?id=5633536

Giro d'Italia, Petacchi vince in volata la seconda tappa


» 2009-05-10 20:24
Giro: Petacchi, 'meritavo vittoria'
Sprinter tornato dopo squalifica doping: dedica a figlio e moglie
(ANSA) - TRIESTE, 10 MAG - 'Me lo sono meritato, dopo quello che ho passato'. Cosi' Alessandro Petacchi commenta la vittoria di tappa al Giro. Il riferimento e' allo stop per doping che gli aveva fatto perdere il Giro dell'anno scorso: 'Ho trascorso momenti molti bui, difficili, questa vittoria puo' servire a cancellarli in parte', continua lo sprinter, che ha anche una dedica: 'Dedico questo successo a mio figlio Alessandro jr, che oggi compie un anno ma anche a mia moglie Annachiara'.

http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/sport/news/2009-05-10_110370857.html

Giro d'Italia, Petacchi vince in volata la seconda tappa
Il velocista spezzino trionfa nei 156 km da Jesolo a Trieste: ha beffato allo sprint il britannico Mark Cavendish che conserva la maglia rosa
Pubblicato il 10/05/2009 19.00.00



TRIESTE - Alessandro Petacchi ha vinto in volata la seconda tappa del Giro d'Italia, 156 km da Jesolo a Trieste. Lo sprinter della Lpr ha beffato in volata il britannico Mark Cavendish (Columbia). Il corridore dell'Isola di Man conserva la maglia rosa, indossata ieri dopo la vittoria del team Columbia nella cronosquadre di Venezia.

Per Petacchi è il 20° successo di tappa al Giro d'Italia. Sul podio di giornata sale anche il britannico Ben Swift del team Katusha. Giornata negativa per lo statunitense Levi Leipheimer (Astana) e per Ivan Basso (Liquigas), che si sono ritrovati nel secondo gruppo e hanno tagliato il traguardo con 13'' di ritardo.

La tappa odierna è stata caratterizzata dalla lunga fuga di Leonardo Scarselli, della Isd, scattato al km numero 9 e raggiunto solo nel finale. Respinto un tentativo di allungo di tre corridori, Gilbert, Pozzato e Gasparotto, prima dell'arrivo in volata. Brutta caduta per il tedesco Matthias Russ (Milram), coinvolto in una caduta portato via in ambulanza: è il primo ritirato della corsa. Domani la terza tappa, 198 km da Grado a Valdobbiadene.



http://www.arezzoweb.it/notizie/speciale.asp?idnotizia=18526

domenica 3 maggio 2009

Angeli e Demoni di Dan Brown

Angeli e Demoni di Dan Brown:
altre mistificazioni storiche dopo quelle del Codice Da Vinci

di Andrea Menegotto (1 dicembre 2004)


Dan Brown ci ha ormai abituati all'idea che per lui l'oggettività dei fatti storici è un'opinione, se non che ha la pretesa di raccontare ai suoi lettori - e cioè è grave dal punto di vista dell'onestà intellettuale - che tutto quanto nei suoi romanzi potrebbe in maniera innocua passare sotto l'etichetta di fiction ed essere così soggetto alla pura valutazione di carattere estetico (fatto salvo un ulteriore giudizio di lettori e critica circa il buon gusto in riferimento alle tematiche affrontate), si fonda in realtà su fonti storiche autorevoli e sulla sua stessa competenza in ambito di ricerca storico-artistica
Se sulla sua prima opera pubblicata in edizione italiana, Il Codice Da Vinci, si è già detto moltissimo (cfr. Massimo Introvigne, «Il Codice Da Vinci»: ma la storia è un'altra cosa), la fama che Brown si è costruito presso gli studiosi di storia dei movimenti magico-esoterici non si smentisce neppure con Angeli e Demoni, uscito nelle nostre librerie per i tipi di Mondadori il 30 novembre ed erroneamente presentato al pubblico come la continuazione del Codice.
Il romanzo, che in realtà risale al 2000 e quindi precede l'opera che ha fatto conoscere Brown al grande pubblico, fu pressoché ignorato da lettori e critica al suo apparire negli Stati Uniti. La storia ha lo stesso protagonista principale de Il Codice Da Vinci: lo studioso di simbologia dell'Università di Harvard, Robert Langdon, e tratta di un complotto teso - almeno all'apparenza - a distruggere il Vaticano attraverso un campione esplosivo di anti-materia mentre si sta svolgendo il Conclave per l'elezione di un nuovo Papa.
Fin qui Brown gioca lecitamente sul piano del fantasy, ma l'autore prende da subito un grosso granchio quando va oltre, attribuendo il piano all'opera di una «setta», quella degli Illuminati, le cui origini sarebbero antiche e risalirebbero almeno al periodo rinascimentale. Gli Illuminati, arruolando nelle loro fila importanti personaggi del mondo della cultura, dell'arte e della scienza, avrebbe combattuto da sempre la Chiesa cattolica in nome della scienza e della libertà.
Coerentemente alla linea intrapresa con la pubblicazione dell'opera che lo ha reso celebre, Brown non rinuncia ad affermare pubblicamente (e anche sul suo sito Web ufficiale: www.danbrown.com) che se personaggi come Robert Langdon sono frutto della sua fantasia, tutto quanto si trova ne sue opere relativamente a massoneria, Rosacroce, Illuminati, Priorato di Sion ma anche alle più cupe - e peraltro ripetutamente smentite - «leggende nere» sull'Opus Dei si basa su notizie storiche veritiere e verificabili.
Come già in occasione della pubblicazione de Il Codice Da Vinci, un contributo serio e volto a sfatare le mistificazioni di Brown è frutto del lavoro del direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (www.cesnur.org), Massimo Introvigne, che in un articolo pubblicato sul numero di dicembre 2004 del National Geographic (cfr. M. Introvigne, «Illuminati tra mito e realtà», in National Geographic Italia, Grandangolo, vol.14 - n. 6, dicembre 2004) riprende e aggiorna i risultati delle sue ricerche riguardanti la storia e l'organizzazione delle correnti magiche dell'epoca moderna e contemporanea realizzate in occasione della pubblicazione del volume Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo, (SugarCo, Milano 1990).
Se è vero che l'espressione «illuminatus» si ritrova in tutto il mondo delle organizzazioni esoteriche, a partire dagli ordini rosicruciani fino alla preistoria della massoneria e sta ad indicare un iniziato o un detentore di segreti esoterici, lungi dall'avere antiche origini rinascimentali, gli Illuminati (noti pure come «Illuminati di Baviera») sono identificabili come membri di una specifica organizzazione solo a partire dal 1776, quando Adam Weishaupt (1748-1830), docente di Diritto all'Università di Ingolstadt, fonda l'Ordine degli Illuminati con la finalità di diffondere segretamente nella cattolica Baviera il suo illuminismo filosofico e politico radicale. Dalla fondazione in avanti, la storia dell'organizzazione è complessa: se all'origine non si tratta di un'organizzazione massonica, il contatto fra il fondatore e un personaggio di spicco della massoneria, il barone Adolph von Knigge (1752-1796), che diviene il vero organizzatore degli illuminati, trasforma l'Organizzazione in società segreta con finalità anche politiche ricalcanti il più radicale illuminismo anti-clericale. Questa evoluzione fa sì che già nel 1784-85 la polizia bavarese arresti quasi tutti i congiurati.
Tuttavia, è piuttosto tipico delle organizzazioni segrete del XVIII secolo essere caratterizzate da un ulteriore livello: all'attività politica rivoluzionaria e critica verso la religione in nome del razionalismo, si accompagna spesso la ricerca di alternative alle religioni dominanti che sfociano nella magia e nell'occultismo. Così, nei loro gradi più alti, gli Illuminati insegnano una forma di «alchimia spirituale» (che utilizza l'evocazione di spiriti e tecniche magiche di tipo sessuale per raggiungere stati alterati di coscienza) appresa da un'organizzazione occultista tedesca, i Fratelli d'Asia.
Comunque sia, con la morte dell'ultimo membro, Johann Johachim Bode (1730-1793), gli Illuminati cessano di esistere finché, verosimilmente negli anni 1895-1896, un Ordine degli Illuminati viene «risvegliato» da Leopold Engel (1858-1931) in collaborazione con Theodor Reuss (1855-1923), il quale diverrà noto come dirigente dell'Ordo Templi Orientis (O.T.O.), che - fondato in Germania - acquisterà fama mondiale dopo che ne entrerà a far parte (e cercherà di impadronirsene) il famoso occultista inglese Aleister (pseudonimo di Edward Alexander) Crowley (1875-1947), organizzazione quest'ultima con forti interessi nell'ambito della magia sessuale, a cui l'Ordine è sempre più legato al punto dal rendere pressoché impossibile distinguere dove finisca la ritualità dell'uno e cominci quella dell'altro. Peraltro, Engel fornisce un corpus dottrinale agli Illuminati partendo dalle rivelazioni - di sapore vagamente biblico - del visionario austriaco Jakob Lorber (1800-1864) e aggiungendo ad esse quanto lui stesso riceve da una «voce interiore».
Dopo la morte di Engel, nonostante si dichiari «ariano» ed espella gli ebrei, l'Ordine degli Illuminati è sciolto e i membri perseguitati dal nazismo. Viva e vitale rimane solo la branca svizzera, presieduta dal 1947 Hermann Joseph Metzger (1919-1990), il quale nel 1943 aveva aderito alla sezione svizzera dell’O.T.O., la quale - sotto la gestione di Metzger - dagli anni 1970 rinuncia ad ogni genere di magia sessuale e ai riferimenti crowleyani, assumendo toni prevalentemente ispirati ai rituali di tipo massonico di Theodor Reuss.
Sulla scia di Metzger branche dell'Ordine degli Illuminati sono «risvegliate», a partire dal 1949, in vari Paesi. Tali branche, nel 1963, accettano lo stesso Metzger come presidente di una Lega Mondiale degli Illuminati. In seguito, altre realtà si discostano dalla Lega Mondiale rivendicando diritti sul marchio, ma la «linea-Metzger» risulta quella più autorevole e credibile quanto a successione. Oggigiorno, qualche centinaio di persone al mondo fa parte di organizzazioni che vantano la sigla di Ordine degli Illuminati, organizzazioni che in genere sono collegate alle locali sedi dell'O.T.O.
Dunque, la storia degli ordini esoterici ci racconta che le vicende reali sono più complesse di quanto Dan Brown narra nei suoi romanzi; in ogni caso, senza ombra di dubbio, la minuziosa ricostruzione storica di Introvigne smentisce le pretese di verità del romanziere americano su più fronti.
Innanzitutto, non è sostenibile l'idea per cui gli Illuminati sono un potente ordine la cui fondazione risale al Rinascimento: si tratta, piuttosto, di un'espressione di qualche rilievo (nella loro storia radunano qualche centinaio di persone) della cosiddetta «corrente calda», interessata alla magia e all'occultismo, del mondo legato alla massoneria, laddove per «corrente fredda» si deve intendere il filone più razionalista, che ha la meglio a livello di organizzazioni massoniche ufficiali soprattutto all'epoca della Rivoluzione francese. Come tali, le origini dell'Ordine degli Illuminati non si possono ritrovare in date antecedenti alla fine del XVIII secolo.
In secondo luogo, le affermazioni di Dan Brown relative all'appartenenza all'Ordine di celebrità quali Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) - il «maestro ignoto» della «setta» secondo l'autore - Galileo Galilei (1564- 1642), Benvenuto Cellini (1500- 1571), Wolfgang Amadeus Mozart (1756- 1791) e Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) rappresentano solo una leggenda senza fondamento, il cui inventore è lo stesso Leopold Engel nello sforzo da lui perseguito di dimostrare le origini antichissime dell'Ordine degli Illuminati.
Inoltre, l'ipotesi per cui gli Illuminati avrebbero controllato la costruzione del monastero teosofico di Monte Verità presso Ascona (in Svizzera) è un'invenzione di esoteristi e avventurieri americani del secondo dopoguerra (vi è testimonianza del passaggio di Reuss ad Ascona, ma nulla più). Attribuibile a questa origine è pure la teoria, su cui Brown pare voglia concepire un nuovo romanzo - francamente, viste le premesse, ci sentiamo di sconsigliarglielo... - che vuole la pianta della città di Washington disegnata dagli Illuminati.
Sic stantibus rebus, non resta che rilevare come le «notizie storiche attendibili» vantate come background da Dan Brown siano in realtà, oltre alle costruzioni ad hoc di Leopold Engel per sostenere l'antichità e il prestigio del suo Ordine, la peggiore paccottiglia in tema di complotti massonici di dimensioni planetarie, già ampiamente utilizzata negli Stati Uniti (e in una certa misura ripresa anche nel nostro Paese) prima di Brown da parte della letteratura e di un certo mondo sia politicamente di sinistra o legato a un complottismo di stile New Age, sia cristiano fondamentalista che ama sostenere l'esistenza di tanto grandi quanto non reali trame nascoste da parte di potenti ma di fatto inesistenti organizzazioni.
http://www.cesnur.org/2004/am_dan.htm